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Caos calmo

di mammenellarete - 21.02.2008 - Scrivici

Di Redattrice self-service (redazione di mammenellarete) Un po’ in ritardo rispetto alle uscite nelle sale, parliamo anche noi del , ma sempre un po’ a nostro modo. Affrontare il tema della morte non è mai semplice per un’opera d’arte, sia essa libro o film, e ancora più affrontare nell’opera intera (in questo caso di 90 min) solo e soltanto l’elaborazione di un lutto così privato ed estremo come quello della morte della persona amata, di una madre, di una bambina ancora piccola. La commozione col patetico e la retorica sono un gran pericolo. Il film riesce secondo me ad evitarlo con un racconto semplice di una quotidianità un po’ strana ma che comunque si cerca di recuperare, e puntando a dire che per superare grandi dolori sono importanti i piccoli passi e seguire i propri tempi. Se bisogna fermarsi, bisogna fermarsi, se bisogna dimostrare a se stessi con atti estremi (come il tagliare la strada con l’auto a un’altra macchina) di essere vivi, anche quello può trovare “forse” una motivazione. Non tutti vivono le emozioni allo stesso modo, sembra voler dire il film e il libro di Sandro Veronesi da cui è tratto; c’è chi sfascia i mobili, chi diventa più aggressivo per non mostrare il dolore, chi sembra non provare nulla, chi si siede su una panchina e aspetta che arrivi il dolore, il caos che questo porta, ma aspetta, il caos. Calmo.

Il rispetto del dolore altrui anche se non è plateale.”Tu non l’amavi!” a un certo punto dice la cognata a Pietro (il protagonista interpretato da un grande Nanni Moretti) “Ma tu che ne sai!!” risponde lui giustamente. Nessuno può sapere cosa si prova a un funerale che non avremmo mai voluto vedere, a portare dei fiori che non avremmo mai voluto portare.
E così, ti ritrovi a piangere dopo cinque minuti che è iniziato il film perché colleghi tutto ad altro…non alla tua poltrona rossa dove sei seduta in quel momento e a quello che vedi sullo schermo di fronte.

Madri che perdono figli, figli che perdono madri quando sono ancora bambini, che si trovano ad abituarsi a quotidianità diverse, a diventare più grandi più in fretta, questi cambiamenti e queste verità le leggi in un film nel viso di una bambina misurata che nella vita si chiama Blu (?!?).
E li vedi nella realtà ricordando una foto in bianco e nero chiusa in qualche cassetto, una foto di tre bambini, una femminuccia vestita di nero nonostante gli 11 anni di età e due maschietti un po’ più piccoli, tutti con gli occhi sgranati per la fame (erano gli anni ’50 in un paesino contadino della Campania); e per la meraviglia verso una vita già così difficile e piena di dolore per aver perso la mamma da bambini. Mentre tutti i tuoi amici l’hanno ancora, la mamma…
O rivedi tali cambiamenti dopo il dolore nel mutamento di espressione leggera, quasi impercettibile che leggi tra i capelli biondi davanti agli occhi di una collega/amica che ti racconta del suo raffreddore e, poi dell’anniversario della morte di un padre tanto amato e tanto rimpianto…
“...lasciatemi la mia malinconia” canta Ivano Fossati alla fine del film “sarà anche il gioco della vita, ma che dolore!”

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