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Sulle ragioni che spingono l'adolescente a bere. L'intervento dello psicologo Vito Giacalone

di mammenellarete - 19.01.2012 - Scrivici

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Bere in modo smodato è un'abitudine molto lontana dagli stili di vita sostenibili che spesso vi proponiamo. L'alcolismo è una malattia e domandarsi il perché si è indotti a bere, abbuffandosi di alcol più di una volta a settimana, è un interrogativo a cui bisogna dare delle risposte e con una certa immediatezza.   Il nostro esperto, psicologo e psicoterapeuta, Vito Giacalone, così ci ha parlato del fenomeno fra gli adolescenti.

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Alcuni dati sul fenomeno dell'alcolismo fra gli adolescenti

 

Secondo le rilevazioni statistiche annuali dell’Organizzazione Mondiale della Sanità (OMS) il consumo di alcol è correlato al 10% di tutte le malattie, al 10% di tutti i tumori, al 63% di cirrosi epatiche, al 41% degli omicidi, al 45% degli incidenti (in generale) e al 9% delle malattie croniche. Se consideriamo l’Europa il dato risulta allarmante visto che ogni quattro ragazzi di età compresa tra i 15 e i 29 anni uno muore a causa del consumo di alcol. E in Italia il 50% dei decessi annuali causati da guida imprudente sono determinati dal fattore alcol (fonte ISTAT, 2006b; 2008) . L’Osservatorio Nazionale Alcol del Centro Nazionale di Epidemiologia, Sorveglianza e Promozione della Salute (CNESPS) dell’Istituto Superiore di Sanità, nel 2009 ha presentato durante l’Alcohol Prevention Day, una ricerca annuale (giunta alla terza edizione) sperimentata nelle discoteche italiane nell’ambito del progetto “il Pilota”.

 

Dallo studio emerge una conferma di abuso di alcol tra i giovani: il 42% dei ragazzi e il 21% delle ragazze che bevono sino ad ubriacarsi ha meno di diciotto anni. Tali percentuali tendono a diminuire con il crescere dell’età, fino a raggiungere il 7,5% per i maschi e il 5,5% per le femmine per quelli di età maggiore ai venticinque anni. Da una parte il dato è confortante –vale a dire che al crescere dell’età subentri una maggiore capacità di giudizio e di discernimento- dall’altra dimostra quanto i giovanissimi siano potenzialmente a rischio di sviluppo di condotte antisociali e di comportamenti violenti, in quanto privi di principi autoregolativi, tipici di chi è totalmente obnubilato dagli effetti dell’alcol.

 

Un ulteriore dato rilevato dallo studio riguarda le percentuali di bevitori tra i giovani del Nord e del Sud.

Se ad esempio consideriamo la Campania e la Sicilia i consumi di alcol riguardano il 47% degli intervistati a differenza del Friuli Venezia Giulia in cui si toccano punte del 72%. Questo dato se riportato alle condizioni socio-economiche, alle temperature decisamente più rigide e alla cultura genitoriale particolarmente propensa nel Nord al bere, a qualsiasi ora, giustifica il risultato a favore del meridione; anche se, in un mondo ormai globalizzato, non è da escludere che si possano concretizzare cambiamenti peggiorativi negli stili e abitudini del sud.

 

Il binge drinking, cos'è?

 

Il bere come lo intendiamo oggi, cioè una una moda e stile di vita, (chi beve si sente “figo”, per intenderci) accoglie una fascia di età molto ampia (a partire dai tredici anni); non a caso si parla in letteratura di social drinker. Il 9% dei giovani bevitori sono affascinati dal colore della bottiglia, dalla forma, e dal poter tenere in mano un oggetto di tendenza, come gli alcolpop (bevande gasate a moderato contenuto alcolico), con l’illusione di ingurgitare una singola quantità limitata di alcol in quanto la bevanda ha una nota fruttata, aromatizzata, che ne maschera la gradazione alcolica. In questi casi ci si dimentica che dalla sommatoria di tante bottiglie “accattivanti” ci si intossica di alcol, con il grande “vantaggio” di aver aumentato in modo esponenziale il fatturato delle aziende che hanno puntato, con azioni mirate di marketing, alla produzione di bevande denominate appunto “fresh”, “cool” e “fun”.

 

Il fenomeno del binge drinking (Wechsler H., 1992), ovvero del bere con la precisa volontà di ubriacarsi, fino a pochissimi anni fa non era una condizione particolarmente conosciuta in Italia; l’alcol ha sempre mietuto vittime e non è assolutamente un caso che in Italia l’attenzione mediatica sia stata spesso centrata sulle conseguenze dannose, ad esempio, del fumare, dell’uso di stupefacenti e pochissimo sugli effetti deleteri del bere.

Quindi in un recente passato si moriva come oggi di alcol ma il fenomeno riguardava i forti bevitori (in letteratura definiti, e non soltanto per una questione di sola di traduzione, “heavy drinkers”), prevalentemente adulti.

 

Cosa si intende allora per binge drinker? Secondo quanto riportato dagli studi di Wechsler è chi assume in una serata almeno cinque bevande alcoliche per gli uomini e almeno quattro per le donne; per altri studiosi, (Bloomfield K., et al., 1999) il binge drinker è chi beve in poche ore almeno dieci bevande alcoliche; l’Office of National statistics di Londra, considera indicativo di tale stato otto drink per gli uomini e sette per le donne (Baiocco et al., 2008).

 

Le ricerche riguardo il “bere” ci aiutano a comprendere l’interesse della comunità scientifica nel categorizzare tale fenomenologia, e contemporaneamente configurano aspetti che vanno al di là di quanti bicchieri di drink occorrano per identificare il livello di intossicazione di un bevitore, dato su cui al momento gli studiosi non concordano essendo condizionato dal contesto sociale (e dal paese) di appartenenza.

 

L'aspetto pisicologico del fenomeno

 

Queste considerazioni ci portano ad affrontare questioni più di carattere psicologico e cioè considerare gli effetti comportamentali che in buona sostanza possono manifestarsi dopo un’abbuffata di alcol. Mi riferisco ai comportamenti a “rischio” messi in atto dagli adolescenti, dannosi per se stessi e per gli altri (Bonino, et al., 2003). L’adolescente in generale vive in una condizione di cambiamento determinato dalle modificazioni psicofisiche in atto, e se intendiamo tale periodo come uno stato evolutivo della mente comprendiamo la complessità in cui si trova immerso. Ciò non necessariamente indica il fatto che l’adolescente possa vivere in uno stato di confusione o di mancanza di scelta. Infatti recenti studi hanno dimostrato che i nuovi adolescenti sono più sicuri (Offer, et al., 1992) e hanno le idee più chiare in relazione ai compiti di sviluppo (Palmonari, 2001), rispetto ai loro coetanei del passato, visti per lo più sofferenti e problematici.

 

Ma allora cosa rappresenta l’alcol per gli adolescenti e per i giovani adulti? Un’ipotesi suffragata da ricerche al riguardo asserisce che l’alcol possa essere inteso come un facilitatore di sviluppo ma che, inconsapevolemente, mette a forte “rischio” la costruzione dell’identità e la riorganizzazione affettivo relazionale. Detto in altri termini è come se l’adolescente volesse superare le difficoltà insite nella crescita attraverso un sistema che faciliti l’individuazione di scorciatoie di crescita; e l’alcol rappresenta una modalità che nell’ottica dell’hic et nunc risulta efficace, ma a medio termine fortemente pervasiva con risvolti a connotazione negativa. La ricerca di un’identità che transita anche attraverso la comprensione di cosa dà identità rispetto a cosa non la dia, richiede una sperimentazione sul campo dei confini comportamentali e relazionali.

 

In un recente contributo Bonino, Cattelino e Ciariano (2003) esaminano alcune funzioni strettamente legate alla crescita dell’adolescente che possono essere facilitate dall’uso di alcol. Il bere è stato associato in particolar modo al bisogno di sentirsi adulto, di acquisire e affermare l’autonomia, di trasgredire e superare i limiti, di fuggire dalla realtà. A conferma di quanto appena riportato, Baiocco, D’Alessio e Laghi (2008) analizzano i motivi che spingono i giovani bevitori a bere. Dapprima vi è una sorta di idealizzazione dell’alcol, come se fosse attraente, successivamente anelano i momenti in cui poterlo fare, perché, in un certo senso, ne soddisfano i bisogni personali. E’ come se, secondo i bevitori, il bere migliori l’immagine di Sé, la regolazione emotiva, in quanto si possono smussare aspetti relativi alla gestione delle emozioni -l’essere di umore negativo contrapposto all’essere apparentemente spensierato, allegro- e lo stile di vita ( il bere come rituale di passaggio all’età adulta).

 

Il rischio per chi beve senza controllo è quello di considerare l’alcol un oggetto transizionale

 

Terminato l’effetto il risultato è inevitabilmente tendente al depressivo, portatore di sconforto, solitudine e nei casi più gravi di alienazione. Allora cosa occorre fare per riprendere tono? Ritornare a bere. In questo modo si rischia di entrare in un loop e reiterare quotidianamente lo scenario appena descritto, considerando che il bevitore, inserito in questo schema, ormai è soggetto ad una dipendenza fisica e psicologia. Nel momento in cui il soggetto è in astinenza dal bere si manifesta il craving fisico e psicologico (Federico, in Baiocco et al., 2008). Il craving fisico è evidente nel heavy drinker che decide (o lo inducono a farlo) di smettere di bere; il risultato è la manifestazione di una serie di sintomi tra cui: nausea, sudorazione agitazione, tremori, (e così via). Il craving psicologico in molti casi riporta il soggetto a ritornare a bere, visto che l’euforia o il rilassamento, il forte senso di sé, tipico di chi beve, rappresentano forti richiami, soprattutto in chi non ha costruito una sufficiente coesione d’identità. E il non bere può portare alla manifestazione di stiti depressivi, disforia, ansia generalizzata. Da non sottovalutare sono anche gli effetti sulla memoria.

 

Senza entrare nel merito dei danni cerebrali determinati dall’alcol, tra cui il mal funzionamento dell’ippocampo (White, 2003) e dei lobri fontali (Ranganath, et al., 2003), si ricorda che il forte bevitore è anche soggetto ad amnesia anterograda, cioè il non ricordare gli accadimenti avvenuti durante l’abbuffata di alcol; in questo stato è facile che il bevitore assuma comportamenti incontrollati, di cui ne sono esempio le violenze in ambito familiare. Da un punto di vista statistico un adolescente che beve tanto ha maggiori probabilità di diventare alcolista da adulto, di assumere stupefacenti, di condurre una vita sessuale promiscua, così come di guidare in stato di ebbrezza e essere violento, divenendo così un pericolo per gli altri.

Detto in altri termini niente di così edificante che valga la pena perseguire verso tale direzione.

 

Se prendiamo in considerazione tutti gli aspetti appena menzionati, le possibilità di risoluzione positiva, ovvero di uscirne fuori, sono decisamente minime; occorre un’azione di sistema che aiuti l’adolescente o il giovane adulto, in generale, a far un percorso preventivo, di conoscenza approfondita dei pericoli nel portare avanti una vita priva di regole e di comportamenti appropriati; e nel caso dei forti bevitori di cominciare contemporeanamente un percorso di disintossicazione e di costruzione di un’immagine di sé più positiva supportata da un’adeguata psicoterapia.

 

Una pronta informazione, che parta dalla Scuola e giunga ai Ragazzi, passando per le Famiglie, permetterebbe di alzare un fronte unito a contenimento di questo fenomeno sempre più crescente. In merito a quanto affermato i medici dell’Ospedale “Bambin Gesù” di Roma recentemente hanno realizzato un decalogo per i genitori sui pericoli dell’alcol, e uno per ragazzi. Le guide possono essere facilmente scaricate on line dal sito del Centro Nazionale di Epidemiologia, Sorveglianza e Promozione della Salute (EpiCentro) dell’Istituto Superiore di Sanità.

 

Per info: press@mammenellarete.it vitogiacaloneconsulenze@gmail.com

 

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