Tempo trenta minuti e sono a Cagliari; falso allarme, la dilatazione non è ancora buona e il ginecologo ha detto di aspettare. Che faccio? Torno a casa? E se richiama? Scendo giù al parcheggio, abbasso lo schienale, e mi assopisco in macchina.
Elia nacque l’indomani, alle 12:18. Chiamai in ufficio per dare la lieta notizia; mi godo i tre giorni di permesso per la nascita di mio figlio, che ovviamente trascorro ad andare e venire dall’ospedale. Sembra ieri. Claudia, lavora, fa l’edicolante; tutti i giorni sveglia alle cinque del mattino, alle sette viene a casa e io parto al lavoro, che dista 50 chilometri. Per fortuna ha una dipendente, e può riservarsi di tornare al lavoro alle nove; il tempo di preparare Elia e accompagnarlo a scuola.
Quando era piccolo, per un periodo sfruttai i permessi per l’allattamento, perché a Claudia essendo lavoratrice autonoma non spettavano, così come il congedo parentale. Abbiamo passato i primi inverni a far la spola tra pediatri, guardie mediche e specialisti, e tutti ci ripetevano «vedrà che come sviluppa gli anticorpi andrà meglio».
Ora sì, va meglio, anche se sono arrivati altri piccoli e grandi problemi; Elia ha “il mal di scuola”, e che sarà mai? Il mio rendimento al lavoro, cala leggermente, il mio pensiero è sempre rivolto a lui che dalla sera prima si rattrista, non è più quel bambino felice e sorridente. Ma il “top” si ha la mattina; sveglia alle sei del mattino «Papi…. Papi…» corro su da lui, «Elia, dormi ancora, è presto», «Papi, io non ci voglio andare a scuola…». Aiuto! E trascorri una buona oretta a fargli discorsi sull’importanza della scuola, che il suo “lavoro è di andarci e che tutti i suoi compagni ci vanno.
Alle sette arriva Claudia, e quasi egoisticamente lascio a lei il compito di sobbarcarsi le sue lagne e scappo al lavoro.
«Signor Casti, dovrebbe fare un rientro in più alla settimana»; «Dottoressa, guardi mia moglie lavora anche la sera e dovrei andare a prendere il bambino da scuola, portarlo a calcio…», «E basta con questa storia di mettere sempre la famiglia davanti al lavoro!».
E allora rimani basito, disorientato, allibito, «Ma … ma … come?». Sapevo, per averlo letto da qualche parte che addirittura in certe aziende private quando assumono le donne fanno firmare un qualcosa dove dichiarano di non essere incinta o si impegnano a non rimanerlo… ma allora mi sbagliavo, il problema per i papà lavoratori sono le mamme lavoratrici! Torno a casa più nervoso che mai; vado a prendere Elia da scuola, il tempo di preparargli la merendina e via alla scuola calcio.
Ci ritroviamo a cena con la famiglia riunita, in sottofondo la televisione e io assorto nei miei pensieri mentre Elia racconta alla mamma la sua giornata fatta di compiti, gli scherzi con i compagni e il rigore sbagliato; dal cucinino sento quasi distrattamente Claudia che dice «Ho un ritardo nel ciclo sai?», e io quasi di rimando, senza riflettere «Sei in ritardo? per cosa?».
Ebbene sì, adesso, aspettiamo di vedere se sarà un fratellino o una sorellina per Elia… Che bello essere papà…. a piccole dosi però.
(*Gaia oggi ha tre mesi e la potete vedere con il papà nella foto, la sua prima foto da neonata)
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