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La legge 194 e l’interruzione volontaria di gravidanza in Italia

di mammenellarete - 31.10.2011 - Scrivici

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Nelle ultime settimane si è parlato molto della polemica sull'obiezione di coscienza dei medici rispetto all'interruzione di gravidanza.  Secondo molti fra alcuni anni in Italia non si potrà più abortire perché non ci saranno più medici a volerlo fare, ma  qual'è, nel nostro paese,  la normativa sulla interruzione volontaria di gravidanza. Prima di tutto ripercorriamo brevemente la storia della legge 194, la legislazione che in Italia sancisce e permette il ricorso all'aborto volontario. La legge 194 italiana sulla interruzione volontaria di gravidanza (IVG) è del 22 maggio 1978 e venne varata dopo una lunga lotta politica e sociale che portò a un referendum che la confermo nel maggio del 1981, consentendo alla donna, nei casi previsti dalla legge, di poter ricorrere alla IVG in una struttura pubblica nei primi 90 giorni di gestazione.

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Il prologo della legge 194 (art. 1) recita così:


  • lo Stato garantisce il diritto alla procreazione cosciente e responsabile, riconosce il valore sociale della maternità e tutela la vita umana dal suo inizio. L'interruzione volontaria della gravidanza, di cui alla presente legge, non è mezzo per il controllo delle nascite. Lo Stato, le regioni e gli enti locali, nell'ambito delle proprie funzioni e competenze, promuovono e sviluppano i servizi socio-sanitari, nonché altre iniziative necessarie per evitare che l'aborto sia usato ai fini della limitazione delle nascite.


  • In Italia gli enti sanitari più adatti per dare informazioni, tutelare e garantire le donne che fanno una scelta di questo tipo sono i consultori. L'art. 2 della legge 194 parla del ruolo dei consultori e dei doveri che gli operatori che vi lavorano hanno nei confronti della donna in stato di gravidanza:


  1. informarla sui diritti garantitigli dalla legge e sui servizi di cui può usufruire;
  2. informarla sui diritti delle gestanti in materia laborale;
  3. suggerire agli enti locali soluzioni a maternità che creino problemi;
  4. contribuire a far superare le cause che possono portare all'interruzione della gravidanza.


  • In Italia, come sancisce l'articolo 4, l'interruzione di gravidanza è permessa nei primi novanta giorni, quando una donna accusi circostanze per le quali la prosecuzione della gestazione, il parto o la maternità comporterebbero un serio pericolo per la sua salute fisica o psichica, in relazione o al suo stato di salute, o alle sue condizioni economiche, o sociali o familiari, o alle circostanze in cui è avvenuto il concepimento, o a previsioni di anomalie o malformazioni del concepito.


  • Come risulta dalle amplissime formule usate dalla legge, le possibilità di accedere alla IVG nei primi novanta giorni sono praticamente illimitate. Dunque, la legislazione italiana permette alla donna piena libertà di accedere alla IVG durante il primo trimestre di gravidanza.


  • Dopo i primi 90 giorni di gravidanza l'aborto è permesso solo quando la gestazione o il parto comportino un grave pericolo per la vita della donna; quando siano accertati processi patologici, tra cui quelli relativi a rilevanti anomalie o malformazioni del nascituro, che determinino un grave pericolo per la salute fisica o psichica della donna.


  • Le minori e le donne interdette devono ricevere l'autorizzazione del tutore o del tribunale dei minori per poter effettuare la IVG. Ma, al fine di tutelare situazioni particolarmente delicate, la legge 194 prevede, come sancito nell'articolo 12 che "nei primi novanta giorni, quando vi siano seri motivi che impediscano o sconsiglino la consultazione delle persone esercenti la potestà o la tutela, oppure queste, interpellate, rifiutino il loro assenso o esprimano pareri tra loro difformi, il consultorio o la struttura socio-sanitaria, o il medico di fiducia, espleta i compiti e le procedure di cui all'articolo 5 e rimette entro sette giorni dalla richiesta una relazione, corredata del proprio parere, al giudice tutelare del luogo in cui esso opera. Il giudice tutelare, entro cinque giorni, sentita la donna e tenuto conto della sua volontà, delle ragioni che adduce e della relazione trasmessagli, può autorizzare la donna, con atto non soggetto a reclamo, a decidere la interruzione della gravidanza.


  • La legge stabilisce che le generalità della donna rimangano anonime.


  • La legge prevede inoltre che "il medico che esegue l'interruzione della gravidanza è tenuto a fornire alla donna le informazioni e le indicazioni sulla regolazione delle nascite" (art. 14).


  • Il ginecologo può esercitare l'obiezione di coscienza, ma non può farlo quando è a conoscenza del fatto che l'intervento sia "indispensabile per salvare la vita della donna in imminente pericolo" (art. 9, comma 5).

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