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Infertilità, perché si preferisce tacere

di Raffaella Clementi - 28.05.2013 - Scrivici

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Fonte: Shutterstock
Marta ha 37 anni. A giugno proverà la sua seconda fivet. Marta vuole un bimbo a tutti i costi e non parla con nessuno dei suoi problemi d'infertilità. Nessuno la capirebbe. Meno parla, più si sente sola...

di Raffaella Clementi

 

Apro la posta elettronica e, come spesso accade ultimamente, trovo la mail di una donna che non conosco ma che mi sembra di conoscere da sempre.

 

Si chiama Marta, ha trentasette anni, ha letto il mio libro e il prossimo mese di Giugno proverà la sua seconda fivet.

 

Vuole un bimbo ha tutti i costi, si sente vuota, incompleta, menomata. E, per la prima volta, sente di poter parlare liberamente con me. All'infuori di suo marito, Marta non parla dei suoi problemi d'infertilità. I suoi genitori piuttosto anziani non capirebbero. Gli amici più stretti non hanno figli e non li desiderano e le coppie che invece li hanno, sono poco inclini e aperte verso le tecniche di procreazione medicalmente assistita.

 

Così Marta non parla e meno parla, più si sente sola. Si sente così schiacciata dal peso della solitudine e da quello dell'infertilità che, dice, rischia di impazzire. Non riesce a gestire le situazioni in cui si trova in mezzo a mamme e bambini, non sopporta le colleghe incinta, non riesce a non provare invidia per le pance altrui. E' gelosa del loro essere mamma, degli sguardi d'amore che legge nei loro occhi, del profumo che fanno i neonati e, si sente cattiva. Cattivi i sentimenti che prova, crudele l'avversione e il senso di vergogna verso se stessa. Malvagie e prepotenti le lacrime che sporcano i suoi sogni.

 

Sono sentimenti che conosco bene e che ho provato. Sono impulsi che avvelenano e ci fanno sentire quello che non siamo. Cattive, invidiose, livide.

 

Conosco il senso di smarrimento davanti a quello che si rischia di diventare, per paura.

 

Ma, spesso, la paura per le cose non dette ingigantisce i problemi e rende ancora più sole di quanto realmente, non siamo.

 

Ho consigliato a Marta di parlare. Di raccontare cosa sta vivendo.

Solo così riuscirà a restituire il giusto peso alle cose. E' fondamentale per chi intraprende un percorso di pma, non vivere di segreti. Non nascondersi, venire allo scoperto. Questo aiuta a sentirsi più leggere, libere di fare le proprie scelte, consapevoli di quello che si sta facendo, per se stesse, per il proprio compagno, per il progetto genitoriale che si sente nel cuore. Dire le cose come stanno, il perché i figli tardano ad arrivare o non arrivano, dichiarare la verità, senza più segreti, senza vergogna, rende sincere e più audaci. Non si ha più bisogno di mentire, di mettere scuse se ci si sente affrante, depresse, se vedere i bimbi degli altri, fa male. Parlare apertamente del percorso intrapreso senza imbarazzo, senza disagio, permette agli altri di comprendere meglio e di decidere quanto e in quale modo starci accanto in un periodo così fragile della nostra vita.

 

Permette, allo stesso modo di allontanare chi giudica, chi non comprende, chi critica una scelta così intima e personale senza sensibilità e senza tatto.

 

Perché molti non capiranno e non conoscendo minimamente il mondo della procreazione e quello delle coppie costrette a ricorrervi metterà in dubbio la nostra etica, esprimendo diffidenza nei confronti di tecniche di cui non sanno nulla e rimanendo della convinzione che debba essere la natura a decidere quando, come e se far arrivare figli.

 

Ma quelli che invece decideranno di restare ci sosterranno e non ci lasceranno sole, quando falliremo per un esito negativo o quando gioiremo per la gravidanza raggiunta.

 

Ognuno di noi ha bisogno del favore della fortuna, dell'augurio dei nostri affetti più intimi, nei momenti di difficoltà. Di qualcosa che benedica il nostro viaggio.

 

Quindi, cara Marta, dividere il problema con chi, presumibilmente, ci ama di più, genitori, parenti, amici, rende finalmente liberi dalla morsa del segreto.

Nel corso di questo viaggio si ha bisogno di alleati che comprendano, capiscano e ci abbraccino. Molto spesso le persone ci stupiscono molto di più di quanto non immaginiamo se gli si spiega che si ha bisogno di comprensione e non di giudizi.

 

 

 

Raffaella Clementi è autrice di 'Lettera a un bambino che è nato', un libro-diario in cui racconta la sua esperienza personale di fecondazione assistita fino alla nascita del figlio.

Leggi di Raffaella: Mi presento, io incinta con la pma e infertilità sine causa

 

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