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Primo anno in una scuola multietnica: il bilancio positivo di una mamma

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Siamo alla fine dell'anno e mi chiedo cosa pensi mia figlia della primaria che ho scelto per lei. Si tratta di una scuola decisamente multietnica: 18 alunni su 22 sono stranieri. Eppure dalle sue parole percepisco che per lei non c'è nessuna realtà nuova: solo bambini che giocano felici, qualche volta bisticciano e qualche volta fanno pure dichiarazioni d'amore. 

È passato quasi un anno da quando Viola ha iniziato la prima elementare alla scuola di via Dolci di Milano e spesso in questi mesi mi sono chiesta che impatto possa aver avuto su di lei una realtà tanto diversa da quella a cui è abituata.

Nella sua classe sono quasi tutti figli di migranti (18 su 22 alunni) e tre o quattro bambini sono appena arrivati in Italia e ancora praticamente non parlano la nostra lingua.
Così, quando è in vena di raccontare, sono tutt'orecchi per cercare di captare come vive questa situazione.
“Sai mamma, Halima è la mia migliora amica” mi racconta un giorno parlando della sua compagna eritrea. “Però è strano: non si ricorda il nome del suo papà”. Allora le spiego che il suo papà vive negli Stati Uniti. Sua mamma Keila è arrivata in Italia sette anni fa e qui è nata Halima, poi però il marito ha trovato lavoro in Minnesota. Presto, mi ha raccontato Keila, dovrebbero raggiungerlo, sono in attesa dei documenti. Gente che si muove.


“Tu e papà sapete l'arabo?” mi chiede una sera. “No” le rispondo. “Come mai?”. Non è una domanda strana, nella sua classe molti bambini sono arabi, circa una decina e tutti egiziani. Quindi per lei è normale che la maggior parte delle persone lo parli. Spiego a Viola che è una lingua molto difficile e noi non l'abbiamo studiata. Viola mi tranquillizza. Lei lo sta imparando: glielo insegna Maram, la sua piccola amica egiziana dagli occhi verdi.

Insomma, da un po' di mesi l'Egitto è diventato un luogo familiare per Viola. Giocando alle principesse con le bambole, non manca quella egiziana. E poi mi dice quanto è bello lo scotch egiziano che le ha regalato Aya, un'altra compagna egiziana. “Ma dov'è questo Egitto?” le chiedo tanto per sapere... “È vicino a casa nostra, mamma!”
E in un certo senso è così.

Non tutti i racconti sono positivi, alcuni riflettono un disagio sociale. “Oggi è tornata Annette!”, “È stata malata?” domando. “Sì, aveva i denti neri e glieli hanno tolti tutti tranne due. Ora in mensa ha la dieta. Ma come è successo?” Difficile spiegare. Alimentazione squilibrata, mancanza di igiene orale?
Mi chiedo perché nelle scuole non facciano prevenzione. I genitori di Annette sono due ragazzi filippini, davvero molto giovani e magari non sanno che troppo zucchero fa male o che i denti da latte vanno lavati bene quanto quelli definitivi...
Scopro anche che Annette non è l'unica con questo problema: mi racconta Viola che altri tre compagni hanno i dentini tutti neri.

Ma da tutti i suoi chiacchiericci capisco che lei è contenta; alla fine per lei non c'è nessuna realtà nuova: solo bambini che giocano felici, qualche volta bisticciano e qualche volta fanno pure dichiarazioni d'amore. E lo fanno non in arabo né in altra lingua, ma attraverso quel linguaggio che sempre più precocemente sta investendo le nuove generazioni di tutto il mondo: il digitale.
E se fosse questa, invece, la nuova realtà su cui i genitori dovrebbero stare allerta?
Per fortuna, in prima elementare lo smartphone è ancora di carta: come quello realizzato da Mohamed che nel finto schermo ha ritratto lui e Viola dentro a un cuore, in un romantico selfie. “E quando ti ha dato questo disegno tu cosa gli hai detto?” “Che lo amo anch'io!”.

Articolo realizzato dai genitori dalla commissione intercultura della scuola Cadorna di Milano per il blog Sesamo didattica interculturale.

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