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Il bilinguismo dei bambini: differenza fra acquisizione e apprendimento di una lingua

di mammenellarete - 20.07.2011 - Scrivici

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Conoscere una lingua straniera nei primi anni di vita significa imparare a conoscere e nominare il mondo in più maniere  per il resto della propria vita. Da adulti una lingua sarà appresa, da bambini è acquisita. Oggi vogliamo lasciarvi un contributo di Claudia Adamo di OpenMinds Milano, per comprendere la differenza fra apprendimento e acquisizione di una lingua straniera. Quando guardiamo il nostro bambino piccolo imparare la nostra lingua, ci stupiamo della velocità che ha nel maneggiare uno strumento così complesso, cogliendone rapidamente le sfumature. È un processo impressionante, per coglierne la grandezza basti pensare a quanta fatica costa a noi adulti imparare un’altra lingua. Il bambino nell'infanzia è tutto teso ad afferrare il linguaggio, perché gli consente di parlare con le persone che lo accudiscono e che lui ama, sarà infatti attraverso le sfumature di questa comunicazione che si forgerà un lato fondamentale della sua personalità.

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C’è un detto per cui ad ogni lingua corrisponde, in un certo modo, “un’anima”, una maniera diversa di vedere ed esprimere aspetti del mondo circostante. Non a caso ci sono nelle varie lingua parole molto precise per definire aspetti, cose, sentimenti, che magari in un’altra lingua nemmeno hanno un termine dedicato, come ci sono cose che riusciamo a dire solo utilizzando un termine straniero, perché ci pare le colga e rappresenti meglio.

Ma soprattutto, ogni lingua che impariamo rappresenta il mondo ed il modo in cui viviamo nel momento in cui la impariamo e la pratichiamo. C’è una storia che mi commuove, a proposito di un uomo trilingue. Nato in Romania da padre italiano e madre romena, aveva imparato il romeno come prima lingua, vera lingua-madre. Anche quando, da adolescente, si trasferì in Italia, continuò a parlare in romeno con i fratelli e genitori. Sposò un’italiana, con cui parlava sempre e solo italiano e da cui ebbe figli che non conoscevano il romeno (che per lui restò una sorta di lessico famigliare da usare con i fratelli e la mamma anziana). La famiglia in seguito a vicende traumatiche dovette trasferirsi negli Stati Uniti e l'uomo ruppe i ponti con il suo passato.

Negli Usa parlava ormai solo inglese, dichiarando di fare fatica a ricordare l'italiano e di aver del tutto scordato il romeno. Con una nuova moglie, un altro lavoro, abitudini completamente diverse, emerge persino una personalità che pochi gli avrebbero attribuito quando era in Europa: e tutta questa nuova vita parla inglese. Passano molti anni, tutta la maturità, arriva la vecchiaia e sfortunatamente la malattia e la mancanza di lucidità.

Come molti vecchi, torna bambino, parla con persone che non ci sono più....e ci parla in romeno. Raramente ha sprazzi di lucidità, in cui riconosce e parla in inglese alla moglie americana, al suo fianco da oltre 20 anni, ma non appena la sua mente risprofonda nelle ombre del passato, la sua camera risuona della lingua che sembrava avere scordato più di 50 anni prima.

Cosa mi colpisce in questa storia? Innanzitutto, le stratificazioni della nostra anima, e quanto le lingue siano intimamente impastate con questa. Ogni volta che parliamo ai nostri bambini, li rendiamo partecipi del nostro mondo. Ogni volta che ognuno di noi esce , anche linguisticamente, dal nostro mondo, un nuovo strato si forma, aggiungendo complessità alla rosa della sua personalità. Tuttavia, ciò che impariamo da piccolissimi, proprio perché più intimamente connesso all’amore più grande, resta indelebile. La neurologia spiega questo fatto indicando come, in questa fase, il linguaggio venga immagazzinato in un’area particolare del cervello, quella nella quale si fissano le abilità di base che impariamo per tutta la vita. Ogni lingua che impariamo successivamente, invece, viene “registrata” in un’altra area del cervello, nella quale si immagazzinano le nozioni apprese “a lungo termine”, ma non permanentemente.

Il linguista Krashen, padre della glottodidattica umanistico-affettiva, definisce le nozioni fissate permanentemente “acquisizione” e quelle fissate a lungo termine “apprendimento”. L’aspetto cruciale che differenzia acquisizione e apprendimento è il coinvolgimento, profondo, emotivo ed emozionale. Più profonda è l’esperienza emotiva legata all’apprendimento, più durevole e solida sarà la memoria di quanto appreso. Per questo è importante che la mamma e il papà collaborino all’apprendimento del bambino, specie in tenera età, nella quale il bambino è una “spugna” sì (come si sente spesso dire), ma nella quale si imprimono bene solo le cose che colpiscono la sua intelligenza e il suo affetto, trasmesse da persone per lui significative.

Claudia Adamo - Openminds Milano

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