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Adozione e pma: due rette parallele e un punto di incontro

di Raffaella Clementi - 12.06.2013 - Scrivici

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Quando sento polemizzare con veemenza donne che hanno scelto l’adozione e donne che sono ricorse alla pma, come in una specie di sfida madri di pancia vs madri di cuore, mi sento male. Ho parlato con tante, tante donne, e tante mi hanno raccontato di come niente e nessuno possa inficiare il loro sentirsi madri dei propri figli, anche se nati da altri ventri, da altri ovuli, venuti da parti di mondo sbagliate. Nel momento in cui si partorisce o si entra in casa con il bambino adottato, i due percorsi si riuniscono e si diventa genitori allo stesso modo, con gli stessi dubbi, le stesse incertezze, lo stesso amore... Ci sono sogni e ci sono progetti. A volte i primi si tramutano nei secondi, a volte, invece, i sogni restano desideri privi di esecuzione. Il sogno di avere un bambino può seguire piani di lavoro diversi, strade e percorsi differenti tra loro, così complessi che nessuno al mondo dovrebbe giudicare.

Ci sono mille giudizi intorno alla procreazione medicalmente assistita, mille opinioni sull’adozione ed interminabili dibattiti sulla bontà della seconda azione piuttosto che sull’egoismo di chi sceglie la fecondazione in vitro. Verdetti e sentenze inutili che sfiniscono gli animi e demoralizzano acuendo il dolore per la mancanza di una maternità “naturale”.

 

Ho sentito così tanti discorsi vacui sull’adozione e sulla pma che, ogniqualvolta sento odore di giudizi sul dolore altrui e consigli non richiesti, fuggo a gambe levate. Quando sento polemizzare con veemenza donne che hanno scelto l’adozione e donne che sono ricorse alla pma, come in una specie di sfida madri di pancia vs madri di cuore, mi sento male.

 

Un male comune dovrebbe avvicinare, comprendere reciprocamente, farci sentire vicine.

 

E invece, no.

 

Ho scritto altrove di figli di pancia e figli di cuore, di figli venuti dal freddo e figli che sono andati prima ancora di fermarsi su questa terra. Ho parlato con tante, tante donne, e tante mi hanno raccontato di come niente e nessuno possa inficiare il loro sentirsi madri dei propri figli, anche se nati da altri ventri, da altri ovuli, venuti da parti di mondo sbagliate. Nessuna sentenza o patrimonio genetico diverso, può in qualche modo rendere una madre, meno madre del proprio figlio non biologico.

 

Mi fanno arrabbiare tutti quelli che ritengono l’adozione e la pma due rette parallele che non si incontreranno mai. “La genitorialità adottiva non potrà mai essere equiparata a quella biologica e le due esperienze non possono essere sovrapponibili”. Questo è quello che è detto, più o meno esplicitamente ai corsi di preparazione per la domanda di adozione, propedeutici e obbligatori per il tribunale dei minori. Credo che sia giustissimo non pensare all’adozione come ripiego a una fivet fallita.

 

Che il percorso intrapreso per diventare genitori adottivi sia uno dei più duri al mondo.

Che svilisca, umili, metta sotto la lente di ingrandimento altrui ogni possibile debolezza, ogni fragilità. Che mina un atto d’amore immensamente grande. Come è altrettanto duro quello di una procreazione medicalmente assistita, dal punto di vista fisico ed emotivo. Ci sono differenze tra i percorsi di genitorialità adottiva e quella biologica, ma uguale punto di arrivo. Nel momento in cui si partorisce o si entra in casa con il bambino adottato, i due percorsi si riuniscono e si diventa genitori allo stesso modo, con gli stessi dubbi, le stesse incertezze, lo stesso amore. Ma vorrei cercare di spiegare che la scelta dell’adozione non è un ripiego, anzi è, l’altra chance. L’ultima in termine di tempo. Chi sceglie la pma all’adozione lo fa, il più delle volte, perché vuole provare tutte le strade e sa che la pma ha dei limiti di età più rigidi rispetto alla possibilità di adottare. La capacità ovarica decresce con l’età, la capacità d’amare no. Ed è logico, letto in questi termini, come una donna sia spinta a provare prima la fecondazione e solo dopo l’adozione. Molto spesso entrambe, anche se non lo dice. Finché si prova la fecondazione in vitro, l’adozione rimane sempre un’alternativa, la porta aperta, l’ultimo salvagente. Ultimo non significa rimedio, ma soluzione, vita, famiglia.

 

Mi piace pensare che l’amore faccia lunghi giri. Che il destino scelga come ricongiungerci con i nostri figli, nonostante i percorsi paralleli.

 

Ogni strada ha tappe ed emozioni che nessuno ha il diritto di sindacare. Ogni coppia ha storie e tempi e il diritto di scegliere il percorso a lei più consono, specialmente se parliamo del diritto di un bambino di essere amato e protetto, indipendentemente dal suo dna.

 

Raffaella Clementi è autrice di ‘Lettera a un bambino che è nato‘, un libro-diario in cui racconta la sua esperienza personale di fecondazione assistita fino alla nascita del figlio.

Leggi di Raffaella: Mi presento, io incinta con la pma e infertilità sine causa

 

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